La sua vita, un dono per la Chiesa!
I primi anni
Suor Leonella nacque il 9 dicembre 1940 a Rezzanello
di Gazzola (Piacenza), ultima
di tre figli. All’anagrafe civile è registrata con il nome di Rosa Sgorbati. Il
papà, Sgorbati Carlo era agricoltore, e la mamma, Vigilini Giovannina (Teresa),
massaia. Abitavano
a Rezzanello, in località Casa Schizzati con i fratelli e le loro famiglie e
costituivano una sola grande azienda familiare composta da 21 persone, tra
padri, madri, figli, fratelli, sorelle, suocere, nuore, generi, zii e nipoti,
tutti già adulti, e in qualche modo lontani dalla vita infantile di cui aveva
bisogno Rosetta, la cui convivenza richiedeva sacrificio.
Rosa fu battezzata a Rezzanello di Gazzola lo stesso
giorno il 9 dicembre 1940 nella parrocchia di San Savino. Questo fatto rivela la fede viva dei Genitori. Gente tutta
d’un pezzo, fedele a Dio e alla Chiesa.
Non si conosce la data della prima Comunione che
dovette ricevere qualche anno più tardi. Allora, secondo la prassi, i bambini
vi erano ammessi verso i 10-11 anni. L'altare e il tabernacolo furono presto il
punto d'attrazione del suo sguardo. Maestra di preghiera fu la mamma che,
nonostante il duro lavoro nei campi, trovava sempre tempo di fare una capatina
in chiesa per portare fiori alla Madonna, e per una breve visita al S.S.
Sacramento.
la famiglia Sgorbati |
Gli anni giovanili
Nell’immediato dopoguerra, per assicurare il pane per tutti, il papà decise di trovare alternative alla vita di agricoltori e avviò una
rivendita all’ingrosso di frutta e verdura a Sesto San Giovanni (MI). Il 9
ottobre 1950 tutta la famiglia si trasferì in quella periferia milanese.
Il
distacco dalla campagna segnò fortemente Rosetta; dirà infatti: “Milano era una città mostruosa, dove la
gente si muoveva come una forsennata, a passi da gigante, sempre indaffarata, e
io pensavo solo a fuggire” Tentò la fuga e
riuscì a tornare per un anno alla sua amata Rezzanello.
Un’altra
sofferenza segna la sua vita: la morte del papà Carlo, avvenuta il 16 luglio
1951.
La
famiglia decise di mandarla in un collegio di Suore, lì la vita non era
sempre gradevole. La direttrice, persona molto intelligente,
un giorno si avvicinò a una Rosetta insofferente e le offerse un libro: “Prendi questo libricino e prova a leggerlo”.
Quel libricino era il Vangelo. Seduta nella piccola cappella del collegio,
davanti al quadro della crocifissione che si trovava sopra l’altare, iniziò un
dialogo sempre più intenso con il Signore. Rosetta si sentiva attratta dalle
parole del “libricino” che vedeva
incarnate nella brava Suora direttrice, e decise di impegnarsi a vivere secondo
questa Parola.
Fu in quella cappellina che ricevette un dono
grande, il più grande che una persona possa ricevere. Fu lì in collegio – come Suor
Leonella racconterà – che, a contatto con la Parola di Gesù, qualcosa di grande
le capitò; esperienza che affidò al suo Diario e che la segnò per la vita: “… mi sono sentita ABITATA in quel lontano giorno - aprile 1952 - … e tu mi hai tenuta in te, mio Signore, oppure sei rimasto tu in me….
Mai più sola…ABITATA…” .
Tornata in famiglia dopo le classi commerciali, i parenti si stupirono della trasformazione avvenuta: non solo la ragazza era maturata come persona, ma rivelò un progetto di vita che non avrebbero mai immaginato: desiderava farsi Suora missionaria.
bei momenti di gioventù |
Primi anni nell'Istituto Suore Missionarie della Consolata
Il 5 maggio 1963 Rosetta Sgorbati fece il suo
ingresso nell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata accolta da Madre
Nazarena Fissore, allora Superiora Generale.
Il 20 maggio 1963 iniziò il postulato a Sanfré (CN),
primo tempo di vita in comunità e introduzione alla vita religiosa che,
all'epoca, durava un semestre e si concludeva con la cerimonia della vestizione.
La giovane portò con sé il suo ricco bagaglio di
umanità: il suo sorriso aperto e schietto, la generosità nel servire,
l'allegria e l’affabilità che faceva stare bene coloro che le erano vicino. Sei
mesi passarono in fretta, arrivò novembre e con esso un momento particolarmente
sentito: la vestizione. In questa cerimonia le aspiranti alla vita religiosa
ricevevano l’abito e cambiavano nome: “Fino
ad oggi ti sei chiamata Maria Rosa, d’ora innanzi ti chiamerai Suor Leonella”.
Era un avvenimento importante, a cui erano invitate anche le famiglie.
Il
21 novembre 1963, a Nepi (VT) iniziò il Noviziato
sotto la guida saggia e prudente di Suor Paolina Emiliani che aiutò la giovane a
formarsi una tempra consistente e fedele, tutta protesa a Dio e alla Missione
ad Gentes, così come voleva il Canonico Giuseppe Allamano, Fondatore
dell’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata, di cui beveva con
avidità scritti e ed esortazioni.
Il
22 novembre 1965 emise la prima
professione religiosa.
La formula della professione reigiosa scritta con il suo sangue.
In seguito Suor Leonella fu destinata
in Inghilterra per intraprendere gli studi infermieristici e lì si formò a una
vita fraterna fatta di consacrazione, impegno e donazione. Nel 1969 consegue il
diploma di State Enrolled Nurse e nel 1970 conclude
la prima parte del corso di Midwifery.
Il
tempo vissuto in Inghilterra fu intenso, alternato tra formazione, studio e
tirocinio negli ospedali. La scuola di Midwifery che Suor Leonella frequentava
si trovava a cinquanta chilometri da casa, perciò la sorella poteva ritornare
in comunità solo nei giorni di riposo, e per lei era sempre una gioia. La
comunità non era solo un luogo accogliente a cui ritornare ma una vita fraterna
che lei viveva e condivideva con passione. I momenti comuni erano sempre troppo
corti per la sua voglia di stare insieme, e li godeva appieno. Suor Leonella era molto brillante nello studio:
aveva una mente vivace, e una memoria formidabile.
Fotografia della prima professione.
La missione in Kenya
Destinata alle missioni del Kenya, al suo arrivo Suor Leonella dovette intraprendere
quel processo che in gergo missionario si chiama inculturazione. Certamente,
per una donna così immediata e spontanea come lei, non fu un adattamento
facile: “…era un po' come calzare scarpe
nuove che, fino a quando non prendono la forma del piede, stringono e fanno male, ma poi, per fortuna, diventano
comodissime”.
Tra le attività delle missionarie a Nkubu, vi
era il lavoro nell'ospedale, con annessa scuola per infermiere. Suor Leonella
si dedicò al reparto maternità: cento letti e un bel gruppo di allieve
ostetriche. Ci teneva a seguire bene le giovani tirocinanti, e le piaceva molto
il contatto con loro. Impartiva delle lezioni extra, anche alle diplomate, ben
sapendo che altrove non avrebbero avuto l'opportunità di una formazione
altrettanto qualificata. Questo suo atteggiamento di disponibilità e gratuità
conquistò la fiducia e la simpatia di molte giovani. Un giorno, una di loro le
disse: “Dio è buono come una mamma. Voi
missionari e tu, in particolare, ce lo fate capire”.
Nel 1993 venne scelta dalle sorelle per
rappresentarle al VII Capitolo Generale. Insieme alle altre capitolari, poté
dare il proprio contributo portando la sua esperienza ventennale di missione in
terra d' Africa e progettando insieme i cammini da intraprendere per i sei anni
seguenti.
Dopo il Capitolo Suor Leonella era stata scelta
dalle sorelle del Kenya per guidare il processo proposto dallo stesso e divenne
responsabile della Regione, come Superiora, per due trienni consecutivi.
Nelle visite, che come Superiora realizzava
nelle comunità, parlava sovente del Beato Giuseppe Allamano, e di Maria
Consolata. Accoglieva gli insegnamenti forti ed autorevoli del Fondatore e li
viveva senza mezze misure: “Bisogna avere tanta carità da dare la vita.
Noi missionari siamo votati a dare la vita per la missione”
Finito il suo mandato di Superiora Regionale, fu
chiesto a Suor Leonella di far parte dell'equipe dei sabbatici. A lei sarebbe
spettata la parte pratica di gestione della casa e la cura delle sorelle
nell'ambito medico. Dal 2000 al 2005 passarono cinque gruppi di
sorelle per il loro tempo di sosta. Tutte rimanevano meravigliate dalla sua
donazione e generosità, dalle sue attenzioni e premure: la vedevano sempre in
movimento, con il grembiule e le maniche rimboccate.
Il gruppo di sorelle del Sabbatico del 2000 |
In Somalia
Suor Leonella arrivò in Somalia, dopo dieci anni di guerra e
distruzione. L'ospedale SOS era l'unica struttura sanitaria di tutta Mogadiscio
che lavorasse in ambito pediatrico a titolo gratuito. Era stato il SOS a
progettare la scuola per infermieri e a coinvolgere le Missionarie della
Consolata nella partecipazione e realizzazione del Somali Registred Community
Nursing. Suor
Leonella si rese disponibile a prendersi cura del sogno e della sua
realizzazione. La gente lo voleva fortemente: erano dieci anni che non si formavano
infermieri e medici in Somalia.
Al di là della fatica, le sfide erano molteplici un
po' su tutti i fronti: anzitutto, il suo metodo formativo doveva essere
adeguato alla nuova situazione di insegnamento che esigevano le autorità civili;
era, inoltre, indispensabile una
formazione integrale che servisse a far crescere i giovani umanamente, in modo
da poter servire meglio la vita fragile e ferita dei malati. Come proporre,
però, i valori su cui lei aveva sempre fatto leva, in un ambiente musulmano? Si
dovevano ricercare elementi comuni tra cristianesimo e islam. Era necessario
dimostrare che le nozioni scientifiche che lei promulgava non erano contro il
Corano. Bisognava convincere i ragazzi e l'ambiente in generale che lei non
faceva proselitismo, anzi, che rispettava e valorizzava il dialogo
interreligioso. Eppure c’era chi non credeva e pensava che Suor Leonella usasse
la scuola per convincere i giovani e farsi cristiani.
Per Suor Leonella la Somalia era esigente anche
sul piano personale: abituata com'era ad una relazione aperta, senza paura,
l'adattarsi ad un tipo di relazione controllata, non le era facile. La vita di
una Suora si esauriva in pochi ambiti: il lavoro all'ospedale,
l'attraversamento – con tanto di scorta – della strada che divideva la casa
dall’ospedale SOS, e la vita
comunitaria, bella e fraterna, ma senza contatti con l'esterno. Era abbastanza
normale sentire, per lo meno inizialmente, un senso di soffocamento in questa
situazione. Tutte le sorelle lo sentivano, così come tutte trovavano la forza
di continuare rinnovando la scelta di una donazione totale, fino alla fine.
Tutto per Lui, il Signore a cui avevano consacrato la vita, e anche per amore a
quella gente che, in loro, sentiva la presenza consolante di Dio. E questo
giorno dopo giorno, senza poter fare progetti a lunga durata,
In Somalia |
Ultimo anno di vita
Ad
inizio 2006 suor Leonella si concesse un tempo prolungato ed intenso di
preghiera, offerto dall'Istituto alle sorelle. Lì fece un'esperienza
forte di attrazione al Mistero Eucaristico e s sentì chiamata al dono
totale della vita.
Di ritorno in Somalia, il primo gruppo di 20 studenti terminò il corso per infermieri. Nel giorno della festa
della consegna dei diplomi, suor Leonella preparò una grande festa. Tra i
partecipanti vi erano anche numerosi fondamentalisti ma non tutti avevano il
cuore aperto per accogliere la novità del evento. Per solennizzare la celebrazione Suor Leonella fece
indossare agli studenti ”la toga”. L’avvenimento, mai avvenuto prima in
Somalia, fu trasmesso dalla TV locale ed anche in Kenya. Tra la gente questo
fatto destò meraviglia e si iniziò a dire che la Suora stava facendo di tutti
questi giovani dei cristiani. I più radicali, vedendo i ragazzi con le toghe
dicevano che Suor Leonella li aveva già vestiti da “Padri”.
La consegna dei diplomi |
Il martirio
Una mattina Suor Leonella,
che si alzava molto presto per pregare, disse molto sconvolta alle sorelle che
si doveva pregare ed offrire molto per il Papa e per la Chiesa perché aveva
sentito, dalla radio, che il mondo
musulmano era in grande agitazione a causa di un discorso del Papa fatto a
Ratisbona, e che si stava sobillando violenza contro la Chiesa.
In Somalia tutto sembrava tranquillo e nessuno ne
parlava; si pensava che la notizia non li avesse contagiati. Nessun allarme,
nessuna minaccia giunse agli orecchi delle sorelle, nessun segno di violenza,
ma la domenica a colpo sicuro una mano omicida colpì Suor Leonella in maniera
mortale.
Era domenica, un ordinario giorno della settimana,
in terra somala. Suor Leonella, come al solito, uscì presto per recarsi alla
scuola per infermieri; le sorelle erano rimaste a casa, perché avevano lavorato
il venerdì, sostituendo il personale musulmano che celebrava il giorno festivo.
Il percorso era breve, ma rischioso, così pericoloso che per compierlo era
necessaria una guardia del corpo. Si trattava di lasciare il villaggio SOS, attraversare
la strada, ed entrare nella sede della scuola: pochi metri che – in altre parti
del mondo – sarebbero stati un dettaglio insignificante, ma non lì, a
Mogadiscio.
Alla fine delle lezioni, Suor Leonella uscì
dall’edificio, sorrise a Mohamed, che la stava aspettando per accompagnarla e
proteggerla, e si avviò verso casa. Dopo pochi passi, forse cinque metri, si
udì uno sparo: un proiettile aveva raggiunto la sorella. La guardia cercò di reagire, ma anche lui fu
colpito. La Suora tentò di ritornare verso l’ospedale, ma fu colpita di nuovo,
le forze la abbandonarono e si accasciò sulla strada. La gente che si trovava
sul luogo la prese e la portò dentro l’ospedale.
In casa, le sorelle sentivano la tensione aumentare
e si chiedevano cosa fosse successo, era tempo che non si sentivano colpi di
arma da fuoco a distanza ravvicinata. Poco dopo, qualcuno bussò alla porta in
maniera concitata, il tempo di sentire il nome “Leonella” e Suor Gianna Irene
Peano con Suor Marzia si precipitarono all’ospedale, dove lei è stata
trasportata; Suor Leonella era pallidissima e sofferente. Lì trovarono un via vai febbrile di
infermiere e dottoresse che tentavano in tutti i modi di salvarla con ossigeno
e trasfusioni, mentre gli studenti offrivano il loro sangue. Si avvicinarono a Suor
Leonella, era madida di sudore, ma cosciente. Mosse le labbra livide e sussurrò: “Fatico
a respirare”.
La gente intanto si accalcava all’ingresso
dell’ospedale, la tensione e il dolore erano forti quasi palpabili. Le guardie
riuscirono a fare un varco a Suor Annalisa Costardi, che entrò nell’edificio. Suor
Leonella assopita, ma cosciente. Con le altre sorelle si affrettò a comunicare
l’accaduto alle superiore in Italia e in Kenya. Intanto il chirurgo chiamò
l'aereo del Flying Doctor, con la speranza di poterla trasportare a Nairobi.
In mezzo a tutto questo movimento, Suor Leonella
stava là, molto sofferente e con troppo poco ossigeno per i suoi polmoni.
Incamerò l'aria sufficiente per chiamare Suor Gianna Irene, ne uscì solo un
bisbiglio, ma la sorella udì e subito accorse e avvicinò il suo viso a quello
di Leonella. Suor Gianna Irene ricorda: “Non
c'era segno di paura o di tensione, nemmeno ansia, ma una grande pace si vedeva
che voleva dire una cosa importante che le stava a cuore e con un fil di
voce disse: “Perdono, perdono, perdono”
grazie di cuore
RispondiEliminaGrande suora
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